Torre del Cerrano
Area Marina Protetta
Strada Statale 16, Km431 Pineto-Silvi
Abruzzo, Italy
Sulle dorate spiagge del Mar Adriatico prende vita l’Area Marina Protetta denominata “Torre del Cerrano” in virtù dell’antico fortilizio, baluardo difensivo facente parte di una fitta rete di fortificazioni costiere del Regno spagnolo di Napoli e collegato visivamente verso l’interno con la Torre di Belfiore, presso Silvi Alta, e la retrosante civitas vetusta di Atri.
Oggi dopo un intenso intervento di consolidamento e restauro da parte della Amministrazione Provinciale di Teramo, il torrione ospita un Centro di Biologia e diviene sede dell’Area Marina Protetta “Torre del Cerrano” istituita nel 2008, che lo rende fruibile attraverso un turismo sostenibile, attività di educazione ambientale, visite guidate, eventi, completando un programma di protezione e valorizzazione dell’ambiente costiero.
La Torre di Cerrano diviene il simbolo dell’Area Marina e deve il nome all’omonimo torrente che un tempo sfociava in questo punto – oggi l’orografia è mutata di 500 metri in direzione sud – a sua volta derivante dalla divinità Cerere “ceres” protettrice della natura, che esplica la forte vocazione agricola delle fertili colline che vi ricadono.
Numerosi fonti antiche narrano della presenza di un porto, a partire dal geografo greco Strabone (63 a.c.- 19 d.c.) che ci parla di un approdo, presso la foce di un corso d’acqua discendente dall’antica città di Hatria (Atri), identificandolo come un epìneion dotato quindi di strutture per lo stoccaggio delle merci, immagazzinamento e altre strutture funzionali al servizio di una città che ne distava alcune miglia. Ancora Plinio (I secolo d.c.) ci parla dell’importanza del vino di Atri trasportato in anfore di produzione locale verso l’Oriente, Grecia e Egitto, senza tralasciare la direttrice Aquileia – regioni danubiane.
Il porto sommerso
Nella splendida area vi era l’antico porto di Hatria (Atri), meta di scalo marittimo al servizio della collinare città, i cui resti sono oggi visibili nelle acque antistanti la torre. Un contatto importante tra chi veniva dal mare e chi viveva sulla terraferma e la corrispondenza con la foce del fiume è più che lecita, in quanto anticamente il trasporto fluviale era vantaggioso dal punto di vista economico e più celere rispetto alla strada e al bestiame, poiché non c’era la necessità di riposare e alimentarsi. Le imbarcazioni potevano circolare senza fermarsi, supportare un gran numero di casse anche pesanti, senza che esse venissero sballottate: grano, carbone, legna, sale e soprattutto, come nel nostro caso, trasportare grandi blocchi per le costruzioni di castelli e della Cattedrale. Si caricavano a bordo botti di vino, olio, legno etc..
Per chi veniva dal mare dunque, i porti erano centri dotati delle infrastrutture che consentivano la vendita e lo scambio delle merci, il vettovagliamento per gli equipaggi e la possibilità di riparare eventuali danni alle navi – legno e personale in grado di lavorarlo – luoghi di raccolta e di stoccaggio dell’attività produttiva che convogliava il prodotto delle aree interne. Una struttura portuale pertanto, poteva esistere soltanto se aveva alle spalle una solida organizzazione politica ed economica che ne garantiva il funzionamento, in questo caso la trimillenaria città d’arte: Atri.
Il porto diviene per il territorio retrostante il punto d’accesso, il portus infatti viene dal latino ed è inteso come “porta”; la collocazione di una struttura fortificata come la Torre nel medesimo luogo, acquisisce una demarcazione del territorio ancora più forte. In diverse località dell’Italia meridionale vennero edificate torri di vedetta a difesa dei porti e delle principali città.
Evidenze archeologiche
I primi resti visibili dell’antico porto emergono dalla lingua di sabbia antistante la celebre Torre del Cerrano, blocchi squadrati di sicura origine antropica che proseguono sotto il pelo dell’acqua per oltre 500 metri dalla linea di costa.
Le ricerche subacquee iniziate nell’estate del 1982 dal professor Piergiorgio Data in collaborazione con altri enti importanti, hanno documentato la presenza di grandi pietre a spigolo vivo, lastroni di pietra d’Istria ad “L” rovesciata (2x4x4 metri), le stesse utilizzate per la costruzione della Cattedrale di Atri, grandi costruzioni murarie in mattoni, canaletta in calcare (simile alle tre presenti nella cripta della Cisterna-Basilica di Atri), scalini, bitte ed ormeggi, disposti secondo una certa impostazione urbanistica, alla profondità di 4,7 e 11 metri. L’impianto portuale sfruttava la foce fluviale con l’ausilio di due banchine d’approdo, purtroppo il fondale sabbioso impedisce il recupero di reperti datanti rendendo difficoltose anche le immersioni subacquee ai fini delle indagini e studi in corso.
Tecniche costruttive
I porti, tanto dai Greci che dai Romani, consistevano in moli sopra archi per combattere il naturale accumulo delle sabbie. I moli si restringevano a semicerchio nell’entrata del porto mediante scogliere e dall’una all’altra scogliera si gettava la catena per impedire alla flotta nemica l’ingresso nel porto. Su uno dei moli sorgeva il faro. Dalla parte di terra vi era una porta fortificata, fiancheggiata da torri, la darsena, i magazzini, case di custodi, ed infine il castellano, che costituiva l’embrione del borgo o del pago marittimo.
L’affascinante fortilizio
La presenza di una torre precedente l’attuale, si fa risalire alla fine del ‘200, durante il regno di Carlo II d’Angiò ove appare per la prima volta una “vecchia torre” in Penna Cerrani. L’attuale costruzione è successiva, facente parte del sistema di fortificazioni litoranee a difesa del Regno di Napoli, dall’incursione di Turchi e Saraceni. Inizialmente furono quindi gli Angioini a pensare ad un sistema permanente e completo di torri di difesa e di segnalazione in vista l’un dall’altra, attraverso segnali di fumo e fuochi, ma tale sistema fu realizzato solo in minima parte, anche a causa dei continui cambiamenti politici, passando infine sotto il controllo dei feudatari e delle famiglie che intendevano proteggere i propri territori.
Nel XV secolo cresceva la potenza turca, essi occuparono Costantinopoli (oggi Istanbul) con una politica marinara che aveva lo scopo di neutralizzare i Veneziani. Conquistarono quindi l’Albania e da lì assalirono Otranto con lo scopo di controllare l’Adriatico e avere quindi una base d’attacco per invadere l’Italia.
Le minacce si fanno particolarmente intense quando, nell’estate del 1556, furono risparmiate all’Abruzzo terribili devastazioni, grazie alle difese ed al sistema di punti d’avvistamento del Duca d’Atri Giovan Girolamo D’Acquaviva. Con l’avvento del governo spagnolo al Regno di Napoli nel ‘500, l’idea di un sistema permanente e continuo fu ripreso. Nel 1568 Alfonso Salazar, commissario del presidente della Regia Camera di Summaria (organo amministrativo, giurisdizionale e consultivo dell’antico regime aragonese operante nel Regno di Napoli), dopo aver effettuato un sopralluogo insieme all’ingengner Scala, dispose la costruzione di quattordici torri in Abruzzo.Il sistema delle torri d’avvistamento avrebbero avuto il compito di allertare tempestivamente le città vicine dell’imminente pericolo ma, essendo dotate di guarnigione e colubrine, anche di respingere tali incursioni.
Le istituzioni vicereali dettavano condizioni ben precise sulle tecniche costruttive che ogni torre doveva seguire. L’altezza si aggirava intorno ai 12 metri, il lato di base esterno 10-12 metri e il lato interno 5 metri. Le strutture presentano una connotazione volumetrica tronco-piramidale con muratura a scarpa che gli permetteva maggiore stabilità e resistenza a sopportare pesanti artiglierie, facilitando l’azione delle caditoie. La distribuzione interna degli spazi era molto semplice, su due livelli e copertura chiamata “piazza d’armi”. In quest’ultima si posizionavano le armi per la difesa, catapulta e cannoni, e su di essa si succedevano i turni di guardia e si ricevevano e trasmettevano i segnali di fumo. Il primo livello era per lo più un deposito riserve di cibi, bevande e munizioni, nel secondo livello soggiornava il guardiano della torre.
Per ragioni di difesa il vano d’ingresso era di piccole dimensioni, collocato nella parete rivolta verso terra. Le scale monumentali che oggi concedono l’accesso a queste imponenti costruzioni, sono di epoca successiva. L’accesso alla torre infatti, avveniva per mezzo di scale realizzate in legno o in corda che venivano calate e ritirate a seconda delle esigenze. La torre per ordini severissimi non poteva essere abbandonata in nessun caso.
Visitando il torrione ad oggi, si sente ancora l’eco delle invasioni turche trovandosi al contempo completamente avvolti in una romantica atmosfera di fascino senza tempo!