Comune di Cellino Attanasio
L’antica Cillinam, Terra di Hermes
Superficie: 43,94 km²
Abitanti: 2.534
Sorto su un fertile e naturale spartiacque tra il fiume Piomba e il Vomano, tra dolci declivi collinari alternati ad aspri calanchi, erosioni argillose che caratterizzano in particolar modo l’area sud della Provincia di Teramo, il borgo si inserisce in un ecosistema molto particolare sia dal punto di vista geologico e naturalistico, che floristico e faunistico. Si ritiene che il suo nome derivi dalla presenza un tempio dedicato al Dio Mercurio – da cui il nome Cellino – Hermes, che i romani identificarono con il dio Mercurio, aveva come padre Zeus e per madre Maia, la primogenita e più bella delle Pleiadi. Hermes, veniva considerato come la personificazione del vento, e del vento aveva la leggerezza, la velocità, l’incostanza nei propositi, l’umore scherzoso. Egli nacque in una grotta scavata nel monte Cillene, la più alta cima del Peloponneso, sul confine tra l’Arcadia e l’Acaia e da qui provenne l’appellativo del dio come Cillenio. La storia dell’antica Cellino – cillinam – e la sua collocazione, non è estranea alle caratteristiche intrinseche della divinità! Le prime tracce risalgono all’età del Ferro, dando pian piano vita in epoca romana a villae rusticae, veri e propri centri dediti alla produzione agricola, vanto intrinseco del territorio caratterizzato da una così forte biodiversità all’interno di un’area così circoscritta. Proprio in virtù di ciò, l’enogastronomia si traduce in una vera “arte culinaria”, un must irrinunciabile che solo forti tradizioni, saperi e sapori, sono in grado di portare sulla tavola come vere e ricercate eccellenze. Questo fertile lembo collinare non sfuggì ai sapienti e abili monaci benedettini, appartenenti all’Abbazia di San Giovanni in Venere, divenendo in poco tempo fastoso feudo degli Acquaviva, Duchi di Atri, dal Trecento al Settecento sino alla morte dell’ultima erede.
Di questo fiorente periodo rimangono mirabili testimonianze degli affascinanti torrioni, che ridondano di eleganza ricordando il tempo in cui l’angioino Matteo di Capua venne a combattere il feudatario locale Giosia Acquaviva, legato alla dinastia aragonese dell’allora Regno di Napoli.
I Duchi Acquaviva fortificarono il borgo per chiare esigenze difensive, dotandolo di nove torrioni dei quali solo due restano in buone condizioni, mentre permangono tracce di una precedente fortificazione dotata di mura scarpate e torrette rompitratta.
La possente torre cilindrica in laterizio rimasta integra, insieme ad un esiguo tratto di mura e ai resti di un altro torrione, rappresenta quanto permane della cinta muraria del borgo. Il torrione invoca la tipologia dei bastioni d’angolo: l’altezza non troppo pronunciata, pianta circolare, mancanza di scarpatura e caditoie su alti beccatelli.
Altre tracce sono riconoscibili nel campanile della Chiesa di Santa Maria la Novache ingloba nel basamento una torre quadrangolare. Si tratta della chiesa parrocchiale, che conserva un elegante portale del 1424, opera di Matteo De Caprio, il cui interno spazia tra altari lignei, un pregevole monumento funebre di stile rinascimentale posto nel coro, dietro l’altare maggiore, dedicato a Giovanni Battista Acquaviva morto a soli 14 anni nel 1496 e splendide colonne affrescate del periodo medievale, probabilmente nel fiorente periodo in cui divenne Propositura ed Arcipretura.
Non mancano altre peculiarità, custodite gelosamente in questo piccolo spazio di mondo tra la costa adriatica e il massiccio del Gran Sasso d’Italia, dove non manca il veemente soffio del vento di Hermes …!