Comune di Silvi
Perla dell’Adriatico
Abitanti: 15.604
Superficie: 20,63 km²
Il territorio comunale si contraddistingue per morfologia, da una parte alta dove sorge l’antico borgo di Silvi Alta e un successivo sviluppo urbano che si delinea lungo la linea di costa bagnata e cullata dalle dolci acque dell’Adriatico.
Le origini dell’antica Silvae, affondano radici in tempi lontani. Lo stesso toponimo fa riferimento alla primitiva natura boschiva selvae che, secondo alcuni storici, si legherebbe alla presenza di un tempio dedicato al Dio Silvano Selvans, uno dei primi numi italici, il cui culto si è protratto nel tempo attraverso gli etruschi e successivamente i romani, rivolgendosi alla protezione della natura e alle attività agresti. Le sue vicissitudini si legano in maniera inscindibile alla vicina Città di Atri, seguendone tutte le sorti come indiscutibilee fedele guardiana. Esse erano le protagoniste di un territorio identificato come Ager Hatrianus, all’interno del quale Silvi Alta fu la vedetta naturale avanzata della retrostante Hatria, grazie alla sua posizione strategica. Atri fu tra le prime città ad allearsi con i romani – 290 a.C. ed è in questo periodo che Silvi Alta venne unita, presidiata e fortificata, diventando il castrum romanum a controllo dello specchio di mare antistante, ove anticamente vi era l’antico approdo marittimo, il noto porto di Hadria, a servizio di una città collinare alle spalle di estrema importanza.
Fu qui che approdavano mercanti d’ogni parte d’Italia, specie fiorentini, tra cui il padre di Giovanni Boccaccio che durante una carestia terribile nel 1319, sbarcò 500 salme (antica unità di misura del Regno di Napoli) di grano e altrettante di orzo.
Disegnando uno scenario fuori dall’ordinario, il castrum Silvae è fortificato dalla natura stessa del terreno, circondato di un vuoto naturale che ne rendeva difficile il raggiungimento e l’assedio permettendone al contempo l’avvistamento nemico da lontano e approntarsi in tempo per fronteggiarlo. Dal castrum romanorum al Castellum Silvae “Castello di Silvi”, nel periodo medioevale il borgo è al centro di tumulti, assedi, occupazioni e scorrerie da parte dei saraceni, ma anche terra di passaggio di personaggi illustri e nobili dame.
Essa si colloca come la prua di una nave, sul crinale di un colle posto a 240 metri di altitudine che dirada sino al mare sulle dorate spiagge dell’Adriatico, in una splendida cornice paesaggistica che la vede circondata da rigogliose colline, caratterizzate in alcuni punti dal particolarissimo fenomeno geologico dei calanchi e abbracciata alle spalle dalle catena montuosa del Gran Sasso d’Italia e della Majella, racchiudendola come un vero e proprio gioiello offrendo uno degli scenari più suggestivi e completi di tutta la costa adriatica, spaziando la sua visuale verso la costa, dal Monte Conero, appennino umbro marchigiano, al promontorio del Gargano in Puglia. Forse è per questo che il grande scrittore Gabriele D’Annunzio la definì “perla dell’Adriatico”.
Era il tempo del grande Regno di Napoli e delle due Sicilie, anni che vedono il fiorire della vita religiosa permeata dal regio dominio, signori feudali,attività artigianali e fiorenti commerci che si svolgevano all’interno dei borghi, cinti da mura di protezione e porte di accesso vigilate. Anni che permangono nelle robuste e solide architetture in pietra e laterizio, nelle malte che tengono ancora salde le mura cittadine di recinzione e le architetture civili e religiose che ridondano di eleganza e stupore evocando tacitamente il peso del tempo trascorso. Percorrendo le antiche vie del borgo si ha come l’impressione di essere immersi in un passato senza tempo ricco di suggestioni, scorci panoramici mozzafiato, frammenti di vita e antiche tradizioni normalmente confinate e chiuse nell’incomunicabilità dei tempi moderni…
E’ qui che si trapela in ogni piccolo scorcio, lo scorrere del tempo, fondendosi gradevolmente con la moderna vocazione all’ospitalità che garantisce a turisti e residenti un’atmosfera di benessere ricercata e per certi versi esclusiva.
Non sono effetti speciali, ma solo il lavoro dei secoli di cui la natura è la vera artefice …
In un piccolo spazio di mondo che non lascia indifferenti, il borgo conserva il carattere identitario della storia umana, mentre calandosi lungo la costa prende vita lungo il litorale dell’Adriatico Silvi Marina. Frequentata sin dall’800 dalle nobili famiglie di Atri per farvi caldi bagni in estate, e darsi alla vita gaia dei club, ad oggi mantiene lo stesso ritmo unendo realtà più importanti come la presenza della pineta nord, che si apre nel cuore dell’Area Maria Protetta “Torre del Cerrano”, a confine con il Comune di Pineto, in un collegamento che trova continuità con la presenza della Ciclovia Adriatica che coincide con il ramo n. 6 della grande rete ciclabile nazionale – BicItalia – proposta dalla FIAB, la Federazione italiana amici della bicicletta, in parte in fase di progetto e in parte già realizzata, che si integra con la più ampia Rete Ciclabile Europea denominata EuroVelo.
Fondendo storia, cultura e antichi saperi, si fa spazio una salda tradizione culinaria “marinara”, conosciuta grazie alle succulente ricette “a bordo” dei pescatori locali, ad oggi sapientemente rivisitati con tocco di contemporaneità, pur mantenendone l’autentico sapore!
Ph.M.C. Mancinelli
DA VISITARE
CHIESA DI SAN SALVATORE
La Chiesa di San Salvatore si erge nel cuore del centro storico di Silvi a partire dal 1100, come simbolo dell’autorità religiosa. Ad essa è annessa l’antica porta d’ingresso della città medievale, nei cui solchi profondi dettati dai solidi cardini in ferro battuto si sente ancora tutto l’eco delle invasioni turche. L’edificio religioso eretto in onore del primo protettore di Silvi, San Salvatore – sostituito alla fine del XVI secolo da San Leone – subì diversi rifacimenti nel corso dei secoli. All’esterno, il fianco sinistro un tempo facciata, che da su Corso Umberto I, presenta i tre ricchi portali del trecento, opera delle botteghe degli scultori attivi nel Duomo di Atri, la cosiddetta “Scuola atriana” capeggiata da Raimondo del Poggio e Rainaldo da Atri, mentre l’attuale facciata e il campanile con l’orologio civico del 1843 (spostato nel 1951 dalla chiesa di Sant’Antonio che si andava distruggendo) sono dell’inizio del XVIII secolo.
I portali laterali si prostrano sontuosi con decorazioni fitomorfe e i volti dei progenitori, in cui si denotano ancora le tracce di policromia utilizzate nella scultura medievale del periodo romanico ad imitazione delle opere classiche, che al contrario di quanto si pensi e si veda adesso, erano interamente e vivacemente colorate. Di qui la dorata corona della Vergine Maria dai tratti severi e rigorosi ancora tipici dell’arte scultorea romanica e, nel fianco esterno combaciante con l’antica porta, un’epigrafe dell’anno 1275 attestante il passaggio in terra d’Abruzzo del Re Carlo d’Angiò, testimoniando al contempo in maniera indelebile la fedeltà dell’Abruzzo ad egli.
Dal corso principale, varcando quello che era l’antico punto d’avvistamento di cui rimangono ancora i posti di guardia, la cosiddetta Torre di Belfiore, si può avere un’idea di quello che era l’antico sistema di fortificazioni costiere durante il reame spagnolo.
TORRE DI BELFIORE
Durante l’antico regime aragonese operante nel Regno di Napoli, nel 1568, Alfonzo Salazar allora commissario del presidente della Regia Camera di Summaria, dispose della costruzione di ben 14 torri costiere in Abruzzo. Si tratta di torri di avvistamento collocate a distanza tale da potersi vedere l’un dall’altra e inviarsi segnali di fumo in caso di avvistamento nemico da mare. Nel tratto di costa antistante il borgo vi era una di queste quattordici torri, la celebre Torre del Cerrano, restaurata nel secolo scorso e divenuta il simbolo dell’Area Marina Protetta “Torre del Cerrano” istituita nel 2008 nel tratto interessato.Essa, oltre ad essere legata alle fortificazioni costiere dall’Abruzzo alla Puglia, comunicava verso l’interno tramite la suddetta Torre di Belfiore che provvedeva in caso di pericolo imminente, alla protezione ed evacuazione degli abitanti del borgo. Il sistema difensivo costiero era affidato come detto, ad una serie di torri d’avvistamento alla foce dei fiumi luoghi naturali di facile penetrazione. La Torre di Cerrano prende infatti il suo nome dal torrente Cerrano che oggi sfocia 500 metri più a sud rispetto all’epoca.Queste erano disposte l’una dopo l’altra come una catena, a protezione della costa dalle invasioni dei Turchi ma soprattutto delle città popolate dell’entroterra. Salendo sulle creste collinari la tipologia difensiva e di controllo territoriale visivo si trasforma in borghi e cittadelle murate, munite di torri di avvistamento.
Proseguendonel giro delle mura cittadine, si può avere un’idea della forma urbanistica dell’antico castrum. Il Corso termina nella Loggia, da cui la vista spazia, nelle giornate limpide, dal Conero fino al Gargano; con un buon cannocchiale, sono visibili persino i monti della antistante Dalmazia. Nella Loggia prospettano il Palazzo Forcella,eretto nel 1760 quando la famiglia ottenne la baronia di Silvia, e la Torre della Loggia del XIV secolo. Di qui si può proseguire o per la parte settentrionale del Belvedere (Circonvallazione Boreale), oppure per la parte meridionale (Circonvallazione Meridionale): entrambi i percorsi confluiscono nella piazza. Dalla Circonvallazione Boreale è possibile godere delle vedute di Atri e del Gran Sasso; la vista della Circonvallazione Meridionale la vista spazia tra i monti della Majella e tutta la costa adriatica sud. Tutto il Belvedere è stato costruito sopra i resti delle antiche mura e al di sotto, a seguito del terremoto del 1933, furono costruiti dei grandi archi di rinforzo che costituiscono oggi la vera caratteristica di Silvi Paese. Durante i lavori, che si protrassero fino al 1950 per dei problemi con la ditta costruttrice, furono scoperti analoghi archi, più piccoli, di epoca romana.
IL SENTIERO DELLO SPLENDORE
Cappella “Madonna dello Splendore” – lungo la strada panoramica che conduce verso la costa, quando ancora non esisteva l’attuale strada provinciale, fu elevata la cappella proprio sul punto in cui secondo la leggenda, nel 1566 San Leone con una torcia in mano, fu avvistato dai Turchi e li fece desistere dall’attaccare il borgo. Oggi, nella sistemazione tardo-ottocentesca, si presenta come un’edicola con la statua della Vergine circondata da un recinto in pietra.
Da allora si ripete ogni anno nel mese di maggio, la manifestazione detta ‘Lu Ciancialone’, in ricordo di quest’evento miracoloso. Silvi rivive con il medesimo fervore tutta la fase di preparazione della gigantesca fascina e accensione del fuoco salvatore. La preparazione di questo evento prevede il coinvolgimento di tutti i cittadini, grandi e piccini, nel reperire arbusti di canne e assemblarle insieme sino a formare un gran fascio. Giunti al giorno della manifestazione, il pesantissimo e imponente fascio di canne, viene adagiato su un’enorme slitta di legno e trainata a mano con delle funi sino a raggiungere la piazza principale del Paese dove, sollevato faticosamente con delle corde dinnanzi alla Chiesa, il cittadino più coraggioso, solitamente un giovane locale di nome Leone (come il Santo patronale), si recherà con l’ausilio di una scala ad accenderlo sulla sommità.Da qui si apre la festa, che si protrae tutta la notte fino al suo spegnimento. Intorno al falò la gente canta e balla finché non rimane che cenere.
Oltre ad essere simbolo della cacciata dei Turchi ed evocare il coraggio del leggendario Leone, l’accensione del fascio è anche un fuoco solstiziale e propiziatorio che si lega da sempre ai riti di purificazione praticati nelle campagne e davanti alle chiese per ballarvi intorno.
Un rituale antico quanto l’uomo, praticato dagli agricoltori nei periodi dei solstizi, che basandosi sull’identificazione del sole con Dio, miravano a celebrare i ritmi vitali della natura in stretto contatto con i mutamenti della potenza solare, e a pregare Dio che proteggesse la raccolta, la semina e le attività agrarie.